Era davvero necessaria la mostra “Barbie. The Icon” al Vittoriano?
Anche volendo tralasciare la qualità delle mostre abitualmente organizzate in questa sede espositiva, e l’abituale carenza di mostre temporanee a Roma durante i mesi estivi, “Barbie. The Icon” risulta essere un’esposizione del tutto mal riuscita. E fuori luogo.
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Roma e Parigi. Un confronto.
Nello stesso periodo in cui si svolge l’esposizione di Roma, un’altra mostra di Barbie è in corso, questa volta a Parigi. Al Musée des Arts Décoratifs. Trovo difficile dubitare della qualità di una mostra di questo tipo al Musée des Arts Décoratifs. La location museale potrebbe essere stata un punto a favore per la versione francese dell’evento.
Non ho visitato la mostra parigina, ma da un semplice confronto on line dei siti web ufficiali delle due esposizioni, emergono chiaramente le differenze tra le due mostre.
Se infatti la sezione riservata del sito www.lesartsdecoratifs.fr appare abbastanza completa, almeno per quanto riguarda ciò che la mostra vuole mettere in luce della famosa bambola, www.ilvittoriano.com dedica solo poche righe in cui sono espressi concetti sì simili a quelli dalla versione francese, ma in modo del tutto scontato.
La presentazione di una mostra su un sito internet dovrebbe invogliare gli utenti ad andare a visitarla di persona, magari fornendo informazioni che stimolino la sua curiosità, pur senza svelare troppo.
A questo compito il Musée des Arts Décoratifs assolve pienamente. I testi estratti dal catalogo illustrano l’evoluzione della bambola giocattolo e l’importanza della bambola di moda alla corte francese. Si parla di come la Barbie si inserisca nella storia del giocattolo, della rivoluzione della quale è portatrice e del ruolo nel mondo dei giochi per bambini. Non vengono tralasciati neanche i cambiamenti della Barbie come oggetto e come modello, il suo essere icona di se stessa anche nella vita quotidiana, di come sia un modello di ispirazione e soggetto di opere d’arte (nei saggi critici di Anne Monier: “Barbie, miroir de son temps”; Denis Bruna: “Une histoire des poupoées de mode”; Anne Monier: “Barbie et l’histoire du jouet”).
(in questo video la mostra di Parigi)
L’apparato didattico della mostra romana, al contrario, è liquidato in sole 23 righe; 5 di queste righe sono usate per presentare il curatore dell’esposizione e la società organizzatrice. STOP.
Sarebbe potuta essere una mostra didattica.

Dal punto di vista francese i testi estratti dal catalogo dell’esposizione risultano essenziali per chiarire che quella in corso non è e non vuole essere una semplice mostra di bambole. La mostra romana sembra invece fare l’impossibile per ribadire la sua vera essenza: una mostra per bambine o per adolescenti nostalgiche, in un trionfo di rosa e di vestiti vaporosi. Nessun tentativo di innalzare il livello. E anche i pochi pannelli informativi falliscono nello scopo didattico al quale dovrebbero essere destinati.
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La possibilità di trasmettere un messaggio educativo attraverso un mezzo che ogni donna-ragazza-bambina conosce sin dall’infanzia si arresta davanti alla scrivania dalla quale le bambine hanno la possibilità di scrivere una lettera alla bambola in rosa.
Un’icona, un simbolo. Uno stereotipo.
Sarebbe potuta essere l’occasione di mettere in luce gli aspetti di un simbolo, un’icona che negli anni è cambiata come sono cambiate le donne che rappresenta, di un pilastro nella cultura popolare. Se infatti, come dicono i pannelli didattici:
Barbie ha intrapreso oltre 180 carriere all’insegna di quello che è sempre stato il suo motto: I can be . […] La filosofia di Barbie ha ispirato e incoraggiato almeno tre generazioni di bambine a sognare , scoprire ed esplorare un mondo senza limiti. Barbie è stata un’infermiera volontaria, un’ambasciatrice UNICEF, un membro delle forze armate e tanto altro ancora.
perché uscendo dalla mostra si ha l’impressione che Barbie sia sempre stata esclusivamente una schiava della moda?
Gli abiti di Barbie. Stilisti a servizio della bambola più famosa del mondo.
In un momento storico in cui è quanto mai necessario che le generazioni più giovani comprendano che ogni donna può e deve essere all’altezza di qualsiasi lavoro, a Roma la donna è semplicemente un essere frivolo. Per questa donna il lavoro è solo qualcosa di divertente e temporaneo: il vero scopo della sua vita è indossare i (meravigliosi) abiti degli stilisti più famosi. E allora la sezione più ammirata della mostra è la lunga passerella in cui la bambola sfila nelle sue cento versioni, abbigliata da Valentino, Chanel, Versace, Dolce e Gabbana, Fendi…
Una sezione che, se ben contestualizzata, sarebbe potuta essere anche interessante, poiché a suo modo riflette l’evoluzione della moda nel corso degli ultimi decenni. In questo modo, si sarebbe mostrato come la Barbie sia, in fondo, una vera icona, capace di coinvolgere artisti di fama mondiale per la creazione di vestiti.
In questo senso le Barbie-modella, analogamente alle Barbie-viaggiatrice (vestite con gli abiti tipici dei diversi Paesi), e a quella che assume l’aspetto delle maggiori icone pop del ‘900, sarebbero state adeguatamente contestualizzate in museo di arti decorative; simbolo ormai imprescindibile della cultura popolare e dell’immaginario collettivo, e presenti innumerevoli film, serie televisive, libri, canzoni…
Barbie e Ken. Una storia d’amore che culmina nel matrimonio
E invece l’occasione è stata completamente mancata, in favore di una degradazione della figura femminile.
Uscendo dalla mostra si ha infatti la sensazione che la Barbie, come la donna che vuole rappresentare, sia un essere superficiale, la cui unica aspirazione è sposare il suo Ken (con gli abiti e l’aspetto di William e Catherine Middleton, duchi di Cambridge, ça va sans dire!) per vivere insieme nell’enorme casa di campagna full optional, con un cavallo, un camper e una barca per le vacanze. Sempre indossando abiti bellissimi.
Exit through the giftshop
E la Barbie al passo con i tempi, simbolo di una donna che negli anni ’60 rifiuta lo stereotipo della donna esclusivamente madre per allontanarsi da una vita che sembrava essere già stata scritta per lei, e finalmente libera di viaggiare e scegliere il proprio lavoro, per la quale tutte le porte sono aperte? Quella sembra essere solo a Parigi.
A Roma, invece, dobbiamo accontentarci di guardare con nostalgia tutte le Barbie che abbiamo posseduto, sognare di sfilare come top-model sulle passerelle più ambite, sorvolare su una vita lavorativa (che poi se alla fine sposiamo il futuro re d’Inghilterra, a che serve lavorare?), commuoverci per il matrimonio di William e Kate (un altro ottimo esempio di scalata sociale, tanto per restare in tema) o per le nozze reali più famose del ‘900 tra il principe Ranieri di Monaco e l’attrice americana Grace Kelly. E finalmente uscire attraverso il bookshop, magari dopo aver acquistato l’altrettanto discutibile catalogo della mostra, riflettendo sulle generazioni di donne che hanno lottato per una giusta emancipazione femminile e per una vita lontana dagli stereotipi ma che, evidentemente, hanno fallito.
Che cosa manca in questa mostra? La colonna sonora! “Love me like you do” di Ellie Goulding sarebbe stata una canzone quanto mai adatta a questa mostra.
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Info:
“Barbie. The Icon” sarà in mostra al Vittoriano a Roma fino al 30 ottobre 2016. Il biglietto intero costa 12 euro. Per tutte le informazioni cliccare qui