Se oggi possiamo ammirare uno dei capolavori del Quattrocento romano è solo grazie ad un incidente, avvenuto giusto qualche decennio fa.
Tra riscoperte fortuite di dipinti ritenuti ormai persi, e personaggi a dir poco particolari, partiamo insieme per un viaggio nella storia. Ancora una volta ringrazio il FAI – Fondo Ambiente Italiano, per aver concesso l’apertura straordinaria di un luogo solitamente inaccessibile in occasione del ciclo #cosaFAIoggi.
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- Dove: nella basilica dei Ss. XII Apostoli, piazza dei Ss. Apostoli, Roma
- Quando: la cappella non è abitualmente accessibile. Per gli orari e le condizioni di apertura contattare la Cooperativa Spazio Libero
- Perché: questa chiesa è generalmente ignorata dal turismo di massa, ma oltre alla cappella Bessarione conserva altri capolavori. Di uno di questi abbiamo già parlato qui
Fino al 1959 nella basilica dei Ss. XII Apostoli a Roma non c’era più traccia della cappella funeraria voluta dal cardinale Bessarione poco dopo la metà del ‘400. Se ne sarebbe quasi perso il ricordo se non fosse stato per la documentazione relativa alla sua realizzazione. Improvvisamente e del tutto casualmente, nel 1959 fu finalmente ritrovata, nascosta, ma pur sempre al suo posto.
Un’intercapedine di una paio di metri la separa dalla vista dei visitatori della basilica dei Ss. XII Apostoli, nascosta dalla cappella Odescalchi costruita tra il 1719 e il 1723. Per oltre due secoli la sola testimonianza visibile della cappella funeraria decorata dai maggiori artisti del primo rinascimento romano, era il riquadro centrale dell’affresco, un dipinto su tavola di Madonna con Bambino, che fu spostato nell’odierna Cappella Bonaventura. Il resto era considerato perduto. Per sempre.
Possiamo quindi immaginare la sorpresa dell’architetto Clemente Busiri Vici quando, nel 1959, nel corso di alcuni lavori di ristrutturazione nell’adiacente palazzo Colonna, erroneamente sfondò il muro confinante con la cappella, e davanti ai suoi occhi si dispiegò un trionfo di colori.
Non dovette volerci molto a capire che si trattava della cappella funeraria fatta costruire dal cardinale Bessarione per contenere le sue spoglie, e decorata da alcuni tra gli artisti più in voga del suo tempo: Antoniazzo Romano, Melozzo da Forlì, Lorenzo da Viterbo.
Ma chi era il cardinal Bessarione?
Basilio Bessarione era un alto prelato orientale, monaco basiliano e poi cardinale a Costantinopoli, proprio negli anni più turbolenti dell’impero bizantino. Uomo di alta cultura e umanista (era infatti studioso di latino e greco, e fondatore dell’Academia Bressarionis, cenacolo culturale di dotti umanisti impegnati a custodire e trasmettere il patrimonio della cultura classica), era una figura di grande importanza nelle relazioni diplomatiche tra la chiesa d’Oriente e quella d’Occidente. A Roma viveva come un greco, proprio accanto alla chiesa nella quale fu sepolto. Nel 1439 fu nominato cardinale titolare della Basilica dei Ss. XII Apostoli di Roma da papa Eugenio IV.

Impegnato in prima linea per scongiurare la caduta di Costantinopoli, durante il concilio di Ferrara chiese l’intervento dei soldati occidentali in difesa di Costantinopoli. Lui credeva che la capitale dell’impero Bizantino sarebbe potuta essere ancora una città cristiana. Non sorprende, alla luce dei fatti, che lo stemma del cardinale rappresenti proprio due mani che afferrano una croce dai due lati, simboleggiando l’unione e la convergenza di intenti dell’Oriente e dell’Occidente nel nome della cristianità. In quest’ottica Bessarione era il propugnatore dell’unità del mondo cristiano, che si era ormai persa aprendo la strada alla conquista da parte dei Maometto II dell’ultimo baluardo dell’impero romano.

Nel 1645 fu presa la decisione di intonacare, nascondendola alla vista, la decorazione pittorica della cappella, a causa dei danneggiamenti dovuti alla risalita d’acqua nelle pareti esterne della chiesa (la zona era infatti soggetta alle inondazioni del Tevere). Ma il testamento del cardinale, redatto nel 1464, restituisce una dettagliata illustrazione del programma decorativo della cappella. L’aspetto dovette però ben presto mutare a causa delle inondazioni del Tevere, che distrussero il registro inferiore, portando alla completa ridipintura delle figure ai lati del riquadro centrale.

La critica più recente non si trova d’accordo con la tradizionale attribuzione della decorazione pittorica ad Antoniazzo Romano. Benché dal confronto con i dipinti coevi la mano non sembri essere quella dell’artista romano, la decorazione è però sicuramente riferibile alla sua bottega: un gruppo di artisti di varie culture e provenienza che hanno lavorato sotto la direzione di un capo bottega.
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L’ideazione e la progettazione del programma decorativo sarebbe dello stesso Antoniazzo, mentre l’esecuzione diretta potrebbe essere riferita ai suoi aiutanti, non necessariamente però di capacità artistiche inferiori. Questa procedura era infatti comune nelle botteghe degli artisti, dove il maestro era chiamato ad ideare e a stabilire le linee guida delle opere, e l’esecuzione era affidata agli artisti che lavoravano per lui. Non era raro che nelle botteghe di artisti molto richiesti lavorassero dei grandi artisti, che non di rado superavano lo stesso maestro (basti pensare che nella bottega del Verrocchio – già di per sé grande artista rinascimentale – lavorava Leonardo Da Vinci).
Antoniazzo Romano era un pittore conosciuto per la produzione di immagini di Madonne ritenute miracolose, le rinomate Madonne delle Grazie, e per la riproduzione di importanti icone orientali venerate a Roma: tenendo conto di questa “specializzazione” non sorprende che la scelta di Bessarione sia caduta su Antoniazzo, forse grazie anche al suo lavoro di recupero delle tematiche e delle iconografie più tipiche della sua cultura d’origine. Non bisogna neanche sottovalutare l’importanza di un certo revival bizantino a Roma proprio in quegli anni, dovuto alla massiccia presenza in città di personaggi di cultura in fuga da Costantinopoli, ormai caduta in mano turca.

Quali sono le scene dipinte sulle pareti della cappella funeraria di Bessarione?
Si tratta di una sorta di testamento spirituale del cardinale dedicatore. Bessarione desiderava infatti un’ultima crociata per riunire, una volta per tutte, le chiese di Oriente e Occidente, e per salvare l’Oriente cristiano e la sua eredità culturale.

Nel registro superiore sono due episodi delle storie di San Michele Arcangelo, nelle due versioni italiana (sul Monte Gargano) e francese (sul Monte Tumba). Proprio quest’ultima rappresentazione è la più interessante: sullo sfondo si riconosce il santuario di Mont-Saint-Michel in Normandia, fondato sul monte Tumba nel 708. La scena è stata identificata come quella di Mont-Saint-Michel anche grazie al rinvenimento sulla lingua di sabbia che collega la terraferma con l’isolotto di conchiglie che, come è noto, affiorano quando durante la bassa marea emerge la strada di collegamento con il santuario. Il collegamento con la Francia deve essere dovuto alla richiesta da parte di Bessarione dell’intervento della Francia nella guerra in difesa di Costantinopoli.
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Della basilica dei Ss. XII Apostoli abbiamo già parlato qualche mese fa in questo articolo, approfondendo un’opera dello scultore settecentesco Antonio Canova.
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