È un museo di arte contemporanea, ma non solo. È un museo didattico-scientifico, ma ci troverete molto di più. È un museo un cui provare delle emozioni che non avevate previsto, e questo potrebbe destabilizzarvi. È tutto questo e altro ancora. E non può lasciarvi indifferenti.
- Dove: sulla collina di Monte Mario, nella periferia romana, in un quartiere popolare che si è sviluppato negli ultimi cinquant’anni. Era una cittadella-manicomio, ma dopo la sua dismissione è stata trasformata in ASL
- Quando: per gli orari d’apertura e le informazioni relative all’ingresso, consultare il sito web www.museodellamente.it. Suggerisco di prendere parte alla visita guidata organizzata dal museo e svolta dagli operatori museali, senza la quale risulta difficile restare concentrati sul vero obiettivo del museo e del messaggio che vuole trasmettere
- Perché: il museo è un esempio perfettamente riuscito di integrazione tra l’opera d’arte e il messaggio sociale di cui è portatrice, secondo una modalità mai morbosa e totalmente innovativa. Nel 2010 il museo ha vinto il premio Icom Italia come Museo dell’anno per “l’innovazione e l’attrattività nei rapporti con il pubblico“
Sono pochi i posti che coinvolgono a punto tale da rendere difficile anche solo parlarne, di mettere a fuoco cosa è realmente accaduto dall’istante in cui si varca la loro soglia.

Le emozioni delle quali il Museo Laboratorio della Mente ci permette di fare esperienza sono quelle che forse non si vorrebbe mai. Ma potrebbe essere proprio quel sentimento di attrazione-rifiuto a renderlo così speciale. Un luogo che sfugge ad ogni definizione perché ne concretizza troppe, per il quale è difficile trovare le giuste parole per descrivere delle sensazioni che si provano durante la visita.

Frequentemente sottovalutiamo, giudichiamo con leggerezza, liquidiamo senza farci troppe domande ciò che non conosciamo. O non capiamo. Perché preferiamo “scegliere” cosa vedere; in questo modo alziamo delle barriere che ogni giorno si fanno più alte e difficili da superare. Vedere oltre il muro immaginario che nel tempo abbiamo eretto davanti a noi non è scontato né facile, neanche dopo aver individuato quel muro. E il muro fisico e metaforico lo incontriamo subito dopo aver varcato l’ingresso: il muro delle esclusioni sociali che hanno caratterizzato questo luogo, e che ancora fanno fatica ad essere superate.
Giorno dopo giorno, anno dopo anno, passo dopo passo, disperatamente trovammo la maniera di portare chi stava dentro fuori, e chi stava fuori dentro.
Franco Basaglia, Conferenze brasiliane, 1979
Anche soltanto scegliere di visitare il museo è un passo in avanti, un tentativo di accettazione della volontà di comprendere una situazione che la società in cui viviamo ci ha insegnato ad ignorare, o addirittura a negare. Perché è un museo impegnativo, a partire dal posto in cui si trova; ma la sua forza nasce proprio dalla scelta di creare in un ex-manicomio quello che semplicisticamente possiamo definire Museo della Mente. Il legame con la struttura che lo ospita è quindi fortissimo, e sarebbe superficiale non tenerne conto, tanto quanto quello con il lunghissimo procedimento legislativo che ha portato alla chiusura dei manicomi.

Quindi tentando di analizzare brevemente e in modo più schematico:
- Location: il Manicomio Provinciale di Santa Maria della Pietà apriva le sue porte nel 1913 (l’istituzione Hospitale de’ poveri forestieri et pazzi dell’Alma Città di Roma ha però origini antichissime, risalenti al XVI secolo), sulla collina di Monte Mario, una zona allora isolata. Si trattava di una sorta di cittadella della psichiatria: decine di edifici ospedalieri e di degenza collegati da strade; la capienza massima era di oltre mille posti letto, ma il numero complessivo dei pazienti arrivò a superare di molto quello previsto, rendendolo l’ospedale psichiatrico più grande d’Europa. Oggi ospita la ASL ROMA E.
- Chiusura del manicomio: le leggi che portavano al ricovero erano piuttosto arbitrarie, e non era quindi raro che fossero internati anche pazienti senza alcuna reale patologia, rendendo i manicomi un luogo di contenimento sociale. Nel tempo una progressiva presa di coscienza di questa arbitrarietà e dell’inumanità della situazione che si era venuta a creare all’interno delle strutture di degenza psichiatrica ha portato nel 1978 alla promulgazione della legge 180 (Legge Basaglia) per la regolamentazione del trattamento sanitario obbligatorio e, seppur lentamente, alla chiusura dei manicomi. Da quel momento iniziò la progressiva dismissione della struttura, fino alla definitiva chiusura nel 1999, con la dimissione dell’ultimo paziente. L’Italia è tutt’ora il solo Paese europeo ad aver abolito l’istituzione del manicomio.
- Il Museo: il Museo Laboratorio della Mente nasce nel 2000 all’interno di uno dei padiglioni dell’ex-manicomio, con lo scopo di documentare la storia della struttura e dell’emarginazione sociale. La storia si racconta dai documenti e dalle testimonianze di chi li dentro ha vissuto o lavorato, rese fruibili secondo un sistema dinamico e immersivo dal gruppo Studio Azzurro.

12 videoproiettori, 10 lettori dvd, 20 casse audio, 2 casse audio a vibrazione, 2 casse a trasmissione ossea, 2 subwoofer, 1 mixer, 6 sensori infrarossi, 1 sensore di presenza, 1 sensore a pressione, 10 sensori capacitivi, 1 macchina fotografica digitale, 1 potenziometro ottico, 6 computer, 1 monitor, 1 microfono, 1 specchio semiriflettente, 1 telecamera di sorveglianza, 4 lastre di plexiglass, 25 cornici,1 tavolo di legno, 24 imbuti, illuminatori
Dal sito di Studio Azzurro
Questa, sul piano più puramente tecnico-materiale, è il museo nel suo aspetto di opera d’arte. In una continua alternanza tra realtà tangibile e percezione, alterazioni percettive e preconcetti, il lavoro degli artisti che hanno dato vita al museo permette di entrare in contatto con una realtà diversa da quella che conosciamo, attraverso l’esperienza fisica che le installazioni ci costringono a fare. È quindi un museo vivo, un vero laboratorio, in cui le opere sono un mezzo che, attraverso le installazioni interattive, ci mette in diretta comunicazione con i documenti dell’ospedale e le testimonianze di chi l’ospedale l’ha vissuto. Ma anche il museo dell’ospedale nel suo aspetto più crudo: la sala visita, i macchinari e i letti ospedalieri, la fagotteria in cui ancora si intravedono i beni personali mai reclamati, la farmacia che ospita una collezione di vasi e oggetti del più stretto ambito medico. E le testimonianze dirette: documenti, cartelle cliniche, filmati con le testimonianze, racconti dei pazienti e del personale medico, documentari, opere d’arte che proprio nel manicomio sono state create dai pazienti, a dimostrazione che anche un ospedale può essere un luogo intellettualmente attivo, che gli emarginati non devono essere tali.

Ciò che più colpisce tra le opere d’arte create in manicomio è la riproduzione il plexiglass di una porzione del muro di 180 metri del manicomio di Volterra, dove il paziente Nannetti/Nanof incide, con la fibbia di una giacca, parole e disegni, in un ingorgo comprensibile solo a tratti ma di una fortissima valenza artistica. Un documentario tenta di indagare meglio sulla vita di questo paziente, facendolo parlare attraverso le frasi incise sul muro, dove lettere e parole spesso sono invertite. Uno dei pochi pazienti che riesce ad uscire dall’anonimato: malgrado abbia un’esistenza negata riesce ad esistere attraverso i suoi graffiti.
Io di salute mi trovo berne, solo che cercano di anarcotizzarmi
Oreste Fernando Nannetti (Nanof o Nof), colonnello astrale, ingegnere astronautico minerario nel sistema mentale collegato al sistema telepatico
Il museo nella sua stessa definizione sfugge ad ogni tentativo di categorizzazione (museo-laboratorio è proprio la definizione migliore per il suo continuo mettersi in gioco e sperimentare), così come il tentativo di racchiudere in categorie quelli che erano i pazienti del manicomio inevitabilmente risulta insoddisfacente. Non si può fare a meno di spogliarsi delle sovrastrutture mentali se si vuole comprendere davvero; inconsciamente creiamo il mondo come lo conosciamo, vediamo solo ciò che siamo abituati a vedere. Qui siamo invece costretti ad arrenderci se vogliamo interagire con le installazioni.
È un laboratorio in cui si impara a conoscere la malattia mentale, contro ogni discriminazione, un museo che fa conoscere la segregazione e le sue implicazioni. La malattia non è messa in mostra, a favore di una dimensione conoscitiva intima e che fa leva sull’esperienza diretta.
Il visitatore si trova ad uscire dentro l’ospedale, come prima lui migliaia di pazienti che, rifiutati dal mondo, ne escono per essere catapultati dentro il manicomio. “Entrare fuori, uscire dentro” è il concetto ricorrente del museo, che vuole ribaltare la realtà come la conosciamo facendoci diventare pazienti per il tempo della visita, durante la quale viviamo quella che vuole ricordare l’esperienza manicomiale. Non uno sguardo morboso sugli aspetti della malattia e della costrizione forzata, ma un’immedesimazione che sì, alla fine, ci fa ammettere che “da vicino nessuno è normale”. Non esiste la commiserazione, ma conoscenza e comprensione.
Perché non è una storia che può essere ricordata, ma solo vissuta.
Tutte le immagini, salvo dove diversamente specificato, sono state fornite dal Museo Laboratorio della mente